Contattaci! 030.9964670

La Cassazione torna sulle differenze tra scarti di demolizione, terre e rocce da scavo e sottoprodotti

Da Rifiuti24 del 4 ottobre 2016

La Cassazione torna sulle differenze tra scarti di demolizione, terre e rocce da scavo e sottoprodotti
di Mauro Calabrese

Nell’accertamento della responsabilità penale per attività di gestione di rifiuti non autorizzata, riguardo materiali di risulta derivanti da demolizioni, spetta al giudice di merito, in sede di giudizio sul fatto di reato, la verifica della natura dei materiali oggetto della condotta, distinguendo il regime giuridico applicabile ai rifiuti, alle terre e rocce da scavo ovvero ai sottoprodotti, tenendo conto della specifica destinazione degli stessi.
La Corte
La Corte di Cassazione, sezione III, Penale, con la sentenza 22 settembre 2016, n.39372, è tornata nuovamente a ribadire le condizioni per la qualifica di rifiuto, sottoprodotto o, in attesa della definitiva pubblicazione del nuovo decreto governativo, terra e roccia da scavo, riguardo il trasporto e smaltimento di materiali derivanti da demolizione, dichiarando inammissibile il ricorso avverso la condanna di merito proposto dagli imputati, aggiungendo alle pene irrogate per le violazioni ambientali, anche la condanna al pagamento in favore della Cassa delle ammende in ragione della infondatezza del ricorso stesso.
Gli imputati, dovranno, quindi, in via definitiva, rispondere per il reato di gestione di rifiuti non autorizzata, punito dall’articolo 256, comma 1, del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.153, cd Codice dell’Ambiente, che punisce i responsabili di attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione, avendo trattato, al contempo, sia rifiuti non pericolosi che rifiuti pericolosi, data la presenza di tracce di amianto.
Inerti da recupero
A propria discolpa, i ricorrenti hanno lamentato l’erronea attribuzione, da parte dei giudici di merito, della qualifica di rifiuto ai residui di demolizioni gestiti, in quanto si tratterebbe, a loro dire, di semplice attività di recupero di inerti di demolizione, destinati a essere rimessi in commercio per il riutilizzo, anche per i fondi stradali, giovando della normativa del Codice dell’Ambiente sulla fine della qualifica di rifiuto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184 ter, non potendo essi rispondere di eventuali difformità o contaminazioni dei materiali acquistati, dovendo di questo rispondere, piuttosto, la ditta realizzatrice della demolizione, considerata anche la mancanza di specifici accertamenti tecnico-cimici sugli stessi.
Natura di rifiuto
Nel dichiarare inammissibile il ricorso, gli ermellini ricordano che l’accertamento della natura dei materiali e della relativa qualifica, ai sensi e per gli effetti della normativa ambientale, è rimessa al giudizio del fatto, demandato alla corte di merito, e come tale insindacabile dalla Corte di legittimità, se non per manifesta illogicità o contraddittorietà.
Nel caso deciso, invero, i giudici di merito, ai sensi dell’articolo 183 del Dlgs 152/2006, innanzitutto, hanno attribuito, inequivocabilmente, ai materiali trattati, la natura di rifiuti, in quanto materiali provenienti da demolizioni, quindi non ascrivibili alla categoria delle «terre e rocce da scavo», anche sulla scorta di adeguata documentazione fotografica, riguardante altresì la fase di smaltimento degli stessi.
Sottoprodotti
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto esente da critiche la condanna di merito, ricordando come il reato di gestione non autorizzata del Codice ambientale preveda, per prima cosa, la corretta qualificazione dei materiali, in questo caso provenienti da demolizione, nella categoria dei rifiuti, accertandone la oggettiva destinazione all’abbandono, spettando all’imputato l’onere di dimostrare, fornendone adeguata prova, la sussistenza dei requisiti che la medesima normativa ambientale dispone per l’applicazione del più favorevole regime giuridico previsto per il «deposito temporaneo» o i «sottoprodotti».
Amianto
Per quanto riguarda la più grave delle imputazioni contestate, trattandosi di rifiuti pericolosi, data la presenza di tracce di amianto, come desunto dalla documentazione in atti, oltre alla mancata dimostrazione, da parte dei ricorrenti, della effettiva destinazione al riutilizzo o dell’applicabilità del regime previsto per le terre e rocce da scavo, la Cassazione rileva come, in tema di gestione di rifiuti, il positivo accertamento, da parte dei giudici di merito, della effettiva natura pericolosa di un materiale qualificato come rifiuto, non necessita dell’espletamento di speciali e puntuali attività di campionamento e analisi chimico-fisica, sulla scorta di quelle che la normativa tecnica di settore impone a carico del titolare dell’impianto interessato dalla produzione dei medesimi rifiuti.

Leave a Comment